Cercola è un comune di meno di 20mila abitanti, in provincia di Napoli. Sulla pagina Wikipedia scopro che in un Dizionario geografico del Regno di Napoli viene detto che “Vi si veggono delle belle casine, fattesi fabbricare da signori Napoletani, ove vanno a diporto nell'autunno, e nella primavera”. E in effetti è così che io la conosco, come il posto in cui mia nonna passava le estati. I miei genitori si sono conosciuti a Cercola, e ogni anno ci siamo tornati, solo in estate.
La casa di mia nonna ha due piani, con accesso indipendente. In quello di sotto ci viveva una signora burbera che urlava moltissimo (specialmente ai danni di suo marito). Nunziatina, così si chiamava la signora (si chiama? penso che sia viva e vegeta, ma non vive più lì da diversi anni) ci voleva, a detta di madre, molto bene, eppure io e mio fratello la temevamo profondamente. Non eravamo abituati a donne parche di gesti affettuosi. Al piano di sopra ci si trasferiva, ogni estate, mia nonna. Ci è voluta andare anche quando le scale le risultavano prima difficili, poi impossibili, in un piccolo trasloco che di anno in anno si è fatto sempre più complesso. Su ogni lato della casa c’è un balcone, e la sala da pranzo è nel mezzo. Sul retro c’è un piccolo giardino, e oltre i binari della ferrovia, la Circumvesuviana.
Mio padre arrivava il venerdì e se ne andava il lunedì, perché lavorava a Roma, e lo vedevamo avvicinarsi lungo quei binari con una eccitazione non indifferente. L’orario del treno era appeso alla porta di casa, e monitoravamo anche i treni che non portavano nostro padre. A Cercola, evidentemente, non c’era assolutamente niente da fare. Le nostre occupazioni lecite includevano:
raccogliere i pinoli
fare i compiti delle vacanze
guardare Beverly Hills 90210 mentre nonna dormiva
giocare a carte.
Quelle illecite includevano:
pianificare dispetti a Nunziatina
tirare susine contro il treno in arrivo
nient’altro perché siamo sempre stati ragazzini obbedienti e forse noiosetti.
Mia madre congegnava una serie di attività laboriose che ci tenevano occupati di pomeriggio in pomeriggio (tagliare le striscioline di pasta frolla per la crostata, schiacciare i suddetti pinoli uno per uno per farci il pesto). Quando arrivava papà andavamo insieme all’edicola in piazza, e puntualmente incappavamo in dei suoi conoscenti dai soprannomi tipo “O’ Bbatterist’” che non mancavano di sottolineare che ero “tale e quale” a lui. Ogni tanto mia zia Tina o mia cugina Anna venivano a pranzo, o a cena, e ci coccolavano molto. Alcune cose si potevano mangiare solo a Cercola: i biscotti del panificio “Dabbob” (come si scrive? chi è Bob?), quel pane con la crosta così croccante e la mollica così gommosa che purtroppo elude ad ogni possibilità di descrizione, la mozzarella di bufala, la marmellata di mia nonna (non mi piaceva, aveva le pellecchie). C’era un ragazzo che portava le bottiglie di acqua Lete a casa, e un alimentari la cui proprietaria era pettegola e faceva sempre un sacco di domande.
Mia nonna guardava Beautiful dopo pranzo, si metteva in terrazzo sulla sedia a sdraio a chiacchierare con mia madre, mi ha insegnato a disegnare con ago e filo dei cuoricini su scampoli di stracci che ovviamente non buttava. Quando rinfrescava, prima di cena, portava giù la sedia e si metteva là con Nunziatina, o con la signora Rosa, la dirimpettaia. Raccontava di una casa bellissima poco fuori dal paese che suo padre aveva perso al gioco (forse questa storia è apocrifa, a questo punto non sono certa se me l’abbia raccontata lei così o se abbia ricamato io su qualche aneddoto molto meno romanzesco), e di un suo fratello che era morto giovane di tubercolosi. Raccontava poche cose, ma spesso. Il fatto che io vivessi “accussì luntan” le è sempre risultato assolutamente incomprensibile. In generale, mi sa che mia nonna non se l’è mai cavata bene con il concetto di lontananza. Era molto fiera di saper fare i conti a mente, anche se scriveva così così.
La casa di mia nonna a Cercola è un posto normale, io e mio fratello eravamo due ragazzini che vivevano in città (“so arrivati i romani!”) che hanno presto iniziato a sviluppare una certa insofferenza nei confronti di quelle settimane che sembravano interminabili, prima o dopo delle “vere vacanze”, quelle al mare, o in giro per qualche capitale europea. Credo che pochissime delle mie amiche ci siano state, la maggior parte delle persone più importanti della mia vita non la vedranno mai.
Oggi ho passato diverse ore in un caffè del mio quartiere che ha sia la porta di ingresso che quella sul retro aperte, e io sono seduta in mezzo a questa corrente che ha una consistenza tipicamente estiva, mentre dalla cucina arriva un effluvio di detergente che probabilmente non ha nulla a che vedere con quello che usava mia nonna, eppure non riesco a smettere di pensare a quella casa. Ci ho pensato altre volte negli ultimi due mesi, da quando mia nonna è morta, perché anche se sono già diversi anni che a Cercola ci vado poco (o per niente?), e anche se andarci è sempre stato un po’ noioso, c’è stata una una magia in quella noia, una certa fertilità in quella ripetizione, in quel ritmo lento.
Per la prima volta nella mia vita passo il mese di agosto a New York, che brulica come sempre. Non ci potrebbe essere un posto al mondo più diverso da Cercola. Eppure la corrente mi pare assolutamente la stessa.