Stamattina mi sono svegliata pensando a tutte le cose belle che non ho fatto negli ultimi mesi: yoga poco, il gruppo di don GB affatto, cinema così così, amiche troppo poco, musei manco per niente. Più che le attività però mi sono accorta che mi manca uno stato d’animo. La sensazione di avere tempo, di non dovere niente a nessuno, di poter indugiare in cose inutili tipo organizzare le mie foto nelle cartelle. Da metà giugno almeno il pensiero del mio prossimo lavoro, della mia vita futura, mi ha riempito la testa con così tanta prepotenza che mi è sembrato, per un istante stamattina, di non riconoscermi più. Ho continuato a ripetermi, in questi mesi, che avevo fiducia che in un modo o nell’altro le cose sarebbero andate bene, ed è vero (le cose stanno andando, secondo la maggior parte delle definizioni del termine, davvero bene), ed è stato strano nelle ultime ore sentirmi priva di quella fiducia in un modo un po’ inspiegabile, un po’ disconnesso dalla realtà oggettiva delle cose. E così ho pensato che era il momento di riprendere una di queste attività (scrivere qui) e vedere se mi ridava un po’ della sensazione che mi mancava: a seguire, una serie di paragrafi che nella mia testa dicono in vari modi la stessa cosa, ma che in tutte le altre teste sembreranno suggestioni casuali.
Riguardo le mie foto (in disordine sul telefono, come accennato sopra) e ci vedo un sacco di cose belle che ho fatto negli ultimi mesi. Non sono abbastanza, non le ho vissute con abbastanza presenza, non sono tutte quelle che avrei voluto fare, ma ci sono. Ieri al brunch che abbiamo fatto per festeggiare il compleanno di Miriam ho detto che una delle cose che preferisco di lei è la sua lealtà feroce, il fatto che anche se le cose di cui le importa possono cambiare non ha mai tradito niente o nessun*, e soprattutto non sé stessa. Questo mi ispira molto a pensare a cosa voglia dire questa frase applicata a me.
Tutte le foto qui sopra le ho scattate in queste ultime settimane, a Prospect Park o nel mio quartiere, Ditmas Park (che, attenzione, non è un parco). In tutte queste occasioni stavo applicando una regola aurea che ho letto da qualche parte di recente (anche se purtroppo non ricordo più dove): clean the house, leave the house. Pulita così così (giusto ‘na spazzata) però voglio riconoscere quanto uscire, fare due passi, raffreddare le guance mi faccia sentire radicata nella mia giornata, padrona del mio tempo, autorizzata a vagabondare.
“Intravista” è una serie di domande, una al giorno, che Slavina sta proponendo in questi giorni sul suo profilo Instagram, per approcciare la fine dell’anno con un pizzico di calma. Stamattina ho risposto alle prime tre scrivendo due righe sulla agenda che Tommaso mi ha regalato per il 2025: sono domande semplicissime, ma sedermi e pensarci anche solo qualche minuto mi ha dato la stessa sensazione delle passeggiate al freddo che ho descritto prima. La sensazione che le cose non mi sfuggano fra le mani ma che posso trattenerle e farle mie, dar loro la forma che mi si addice, o quella di cui ho bisogno, o quella a cui aspiro (quale delle tre sia più urgente, dipenderà dai momenti, credo).
Ho letto “L’aria è una”, una raccolta di poesie di Anna Maria Carpi, e mi è piaciuta molto. Dalla poesia La carne è un altro:
Da metà pomeriggio fino a sera
ferve il cervello,
il mondo ha un centro, tutto
ruota intorno all’oggetto che ricerca.
E intanto giocherella
con le matite. Fa la punta a tutte.
Tutto che si fa chiaro, conseguente –
la gente non lo sa:
è quando non c’entri tu che sei te stesso.
Questo pezzo mi è capitato sott’occhio mentre “sfogliavo” la raccolta sul mio e-reader, cercando un estratto da includere qui. Sono contenta di essere incappata in questo brano proprio oggi, che rifletto su quanto il mio mondo ultimamente “ha avuto un centro” e su quanto sono pronta che torni ad averne tanti, di centri. Invito: come si fa a capire quando è il momento di centrarsi, e quando invece di disperdersi?
Ho visto un film bellissimo, si chiama All we imagine as light, della regista indiana Payal Kapadia. Nella prima metà le tre protagoniste, di tre generazioni diverse, si barcamenano in una Mumbai che rigurgita caos. Una ha un marito lontano che più lontano non si può, l’altra è vittima di una burocrazia inflessibile, la terza in preda a un vitale amore, e fra il lavoro in ospedale, tragitti in autobus e piogge torrenziali, le loro vite sono strapiene. Mi ha colpito come questa sensazione di frenesia sia trasmessa senza mai consentirci di perdere di vista i dettagli minuti (una poesia su un quadernetto, una camicia appiccicata di sudore) che formano la realtà tattile della vita delle tre donne. A un certo punto, a metà del film, il volume si abbassa di colpo: una delle tre decide di tornare al suo paese natale e le altre due ce la accompagnano, aiutandola col trasloco, per cui ci ritroviamo in un posto che faticherei persino a chiamare paesino, un grumo di case sull’oceano in cui la trama della solidarietà femminile intergenerazionale si consolida. Sembra un contrasto estremo, da Mumbai a questa spiaggia, eppure loro tre collegano i due luoghi facendoli sembrare uno: la complessità di ciascuna, la tenerezza del legame fra loro, la curiosità feroce con cui si rapportano al mondo. So che nella pratica è letteralmente impossibile, ma se lo evoco nella mia mente questo film è tutto blu, oltre che tutto bagnato: come ho detto prima c’è qualcosa di molto tangibile nelle immagini evocate, e nella palette della fotografia. Il film è stupendo e l’ho visto alla fine di una giornata bellissima, spero vi ricordiate di dirmi cosa ve ne pare se e quando lo vedrete anche voi.
Alla fine della mia edizione di “Poesie d’amore” di Nâzım Hikmet (un libro che mi ha regalato Stefano anni fa ma che ho letto solo qualche settimana fa) c’è un breve saggio scritto da Joyce Lussu, che ne ha curato la traduzione. Il testo si apre con una rievocazione della morte e del funerale del poeta, a Mosca:
Il suo unico figlio Mehmet arrivò da Varsavia per vederlo, insieme alla madre Münevver, che in turco vuol dire “la saggia”. Mehmet, nei suoi dodici anni di vita, aveva visto pochissimo questo padre favoloso, cui somiglia molto: grande, con gli occhi celesti e i capelli di un biondo un po' rossiccio.
Segue una rievocazione breve non tanto della vita di Hikmet, quanto del suo carattere: Lussu ce lo descrive come un uomo candido, del tutto privo di cinismo, forse un po’ egoista nel suo amore incondizionato per la vita e la sua terra. Dopo aver dipinto una figura larger than life, il testo si chiude così:
Che sia morto, non ha una grande importanza. Il suo modo di essere si è realizzato ed espresso nella sua poesia, e tutto continua, salvo il rinnovarsi della sua personale felicità o infelicità e il battere faticoso del cuore tra un infarto e l'altro. I suoi amici, presenti e futuri (ne nasceranno ancora tra molto tempo), continueranno a leggerlo e a ritrovarlo. Per Mehmet soltanto la cosa sarà diversa. E' difficile avere un padre, e non basta leggerne le poesie.
Non so cosa mi ha colpita di questa frase e tutto ciò che so di Hikmet l’ho appreso leggendo i versi di questa raccolta, che non ha neppure un apparato critico particolarmente ricco, per cui non so neppure se fosse un padre particolarmente difficile da avere (a occhio, mi parrebbe di sì). Chi ci pensa mai, ai figli dei poeti, in effetti.
Come saluto, ancora un estratto da “L’aria è una”, questa volta una poesia tutta intera. Non so che significa “amore è dire all’altro non hai fine” ma mi sembra abbia senso, e mi sembra sia pure quello che bisogna dirsi da sol*!!
Se tu mi amassi come io amo loro,
i piccoli di casa che non sanno,
se mi chiamassi come io li chiamo
coi piú teneri nomi ed insensati
dal nonsenso del cuore,
e come io faccio con loro
mi raccogliessi tutta fra le braccia –
perché tutto verrà, niente è perduto.
Tu invece quando parli m’inviti alla ragione
e se dico futuro mi sconsigli
di sperare in qualcosa.
Tu non capisci:
non mi devi parlare come a un comune umano,
amore è dire all’altro non hai fine.
O io sono immortale oppure niente.
Un abbraccio,
Ludovica
Per sottrarsi a questi inviti basta cliccare qui. Le vecchie missive spedite dal 2019 al 2023 sono custodite qui. Potete inoltrare questa mail a qualcuno che vi piace.