C’è Eugenia che parla molto di coraggio: insiste sempre su come sia molto difficile averlo, e che bisogna impegnarsi per coltivarlo dentro di sé. Ci vuole coraggio ad andare a fare la spesa, e ci vuole coraggio a dire a qualcuno che amiamo che siamo tristi. Io trovo utile pensare ai momenti di difficoltà, anche solo di confusione, come a delle occasioni per riconnettersi con il proprio coraggio. Trovarlo vuol dire, quantomeno, provare a spostarsi dal punto in cui si è, e ammettere con candore di avere un limite. Tutte le mie persone preferite sono coraggiose, nelle scelte “grandi” che hanno fatto quando hanno sentito di voler cambiare qualcosa, ma anche nelle scelte “piccole”, nel modo in cui si prendono cura di sé o in cui ci sono per chi hanno accanto.
Ho appena letto un libro bellissimo che mi ha infuso molto coraggio (ed è curioso che la parola “infuso” stia qui dato che in questo libro si parla tantissimo di tè).
Il romanzo è della scrittrice americana Becky Chambers e si chiama “A Psalm for the Wild-Built”, è appena uscito in Italia nella collana Urania di Mondadori per la traduzione di Annarita Guarnieri, col titolo “Un salmo per il robot”.
Mi dispiace per questo titolo perché è importante che il robot del libro, che si chiama Mosscap, sia wild-built cioè costruito nella natura selvaggia. Infatti molto tempo prima delle vicende raccontate in questo libro, i robot hanno acquisito conoscenza e si sono pacificamente separati dall’umanità: metà del mondo è abitato dagli umani, che fanno a meno delle macchine, l’altra metà è stata abbandonata e lasciata ai robot, è tornata incontaminata (in inglese si può dire rewilding) e non viene mai visitata. Un giorno, per ragioni cui mi dedicherò a breve, un* uman* che si chiama Dex (e non ha genere) si avventura nella natura selvaggia e incontra Mosscap, che gli spiega che i robot ormai autonomi hanno deciso di affrontare il deterioramento delle loro componenti meccaniche in modo peculiare: invece di “rigenerare” i pezzi mano a mano, i robot si rovinano e si decompongono, e qualche altro robot recupera le varie parti, mischiandole da robot diversi, per formare un nuovo robot. I robot quindi non sono immortali, perché “niente del mondo lo è” e se i robot originali si fossero riparati senza disintegrarsi questo avrebbe voluto dire comportarsi in modo contrario alle leggi di ciò che volevano capire meglio, di ciò in cui volevano vivere. Questa è solo una delle tante conversazioni che i due intrattengono: intrise di poesia, vertono su argomenti importantissimi eppure risuonano infinitamente semplici e delicate.
Dex è un monaco, seguace di una divinità che si chiama Allalae. Il pantheon di questo mondo è complesso (è descritto bene qui), ma di Allalae ho capito che è una divinità minore che presiede ai piccoli piaceri. Nell’universo creato da Chambers stare bene, stare comodi, trattarsi con cura è una faccenda sacra. La preghiera che Dex si ripete in momenti difficili è
Allalae holds,
Allalae warms,
Allalae sooths
and Allalae charms
All’inizio del romanzo Dex ha una crisi vocazionale: non vuole più servire l’ordine come giardiniere, ma come monaco del tè. Comincia pertanto a viaggiare di villaggio in villaggio, allestendo dovunque arriva una sorta di accogliente erboristeria mista ad uno studio da psicoterapeuta: chiunque può raccontargli le proprio preoccupazioni, o anche solo condividere una fonte di stanchezza, e riceverà un mix personalizzato di erbe infuso in una bella tazza di tè. Anche se Dex è bravissim* nel suo lavoro, sente che l’insoddisfazione non si è mossa: domande complesse su cosa vuole veramente, o qual è il suo scopo, l* spingono nella parte di mondo ormai sconosciuta. Una sorta di forza istintiva lo spinge a deviare dal suo percorso e avventurarsi nella parte selvaggia del mondo.
L’universo disegnato da Chambers è a tutti gli effetti un’utopia: l’umanità ha imparato a rispettare la natura, la società è organizzata in modo da essere sostenibile e le persone si prendono cura l’uno dell’altra. Leggo qui l’espressione cozypunk che mi sembra perfetta: è una storia coi robot ma piena di profumi, in cui i personaggi fanno il meglio che possono per star bene ed essere d’aiuto.
Anche se Dex vive una vita comoda, circondato da rispetto e in una società evoluta e pacifica, la sua insoddisfazione non si calma, l’irrequietezza dello spirito e le domande sul proprio valore e la propria identità colgono Dex anche se è “nutrito, riposato, e senza paura”. Dex e Mosscap sono pien* di coraggio, non perché affrontano chissà che avventure, ma perché sono curiosi di conoscere, farsi conoscere e infine conoscersi, tre compiti difficili ma importanti.
Anche Perfect Days, un film di Wim Wenders che ho visto a novembre, ha un protagonista coraggioso, che svolge il suo lavoro con cura e coltiva le sue passioni con costanza e quiete: ama coraggiosamente sua nipote, e anche quando è difficile tiene in ordine gli oggetti attorno a sé e (o almeno così mi pare) le emozioni dentro di sé. C’è una scena splendida incentrata intorno alla frase “Next time is next time, now is now.” (purtroppo non ho trovato la frase in giapponese, ho visto il film in lingua originale con i sottotitoli) e qui ho letto una bella riflessione su questa frase come inno ad essere presenti, concentrati, su ogni momento. Certo, il protagonista di Perfect Days è un uomo solo, mentre a me piace molto che Mosscap e Dex siano insieme, e tanto il film è quieto e pieno di silenzi quanto il romanzo ribolle (come l’acqua del tè) di conversazioni fra i due. Eppure mi sembrano sorprendentemente vicine, queste due opere, due approcci diversi alla domanda sul senso, al tentativo (che per costruzione non è mai riuscito) di trovare pace in un punto fisso. Sono due opere sul coraggio che ci vuole a costruirsi, dentro e fuori, i pezzi che andranno a formare un tentativo di serenità.
Mi sento molto coraggiosa a guardare ai prossimi 12 mesi, pensare che saranno pieni di lavoro e cercare comunque di immaginarmeli punteggiati di cose belle. Mi sento anche molto coraggiosa a continuare imperterrita a parlare di dove mi aspetto di finire dopo, dove vorrei finire dopo, dove realisticamente potrei finire dopo. Ci è voluto molto coraggio a scegliere la mia dissertation commitee utilizzando solo i criteri che sono importanti per me, e ci vuole coraggio a programmare (o fantasticare) una vita che abbia dentro tutte le cose importanti per me.
Mi piacerebbe sapere: qual è la parte della vostra vita che richiede coraggio?
Che altro? Questa settimana ho visto All of us strangers e Poor things; ultimamente sto ascoltando questa.
Con affetto,
Ludovica
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